Giusto di Ravensburg, Affreschi sull’Annunciazione

Autore, Titolo dell'opera:

Autore : Giusto di Allemagna (Justus von Ravensburg)

Titolo dell'opera: Affreschi sull’Annunciazione

Data : 1451

Ubicazione: Chiesa di Santa Maria di Castello, Genova

Dimensioni : Il ciclo pittorico, collocato nella cosiddetta “Loggia dell'Annunciazione”, comprende la porzione centrale della parete longitudinale, le cinque volte a crociera che fungono da copertura e due lunette che sovrastano gli accesso alla loggia stessa.

[modifica]

Descrizione dell'opera

Si tratta di un ciclo di affreschi collocato al primo piano del secondo chiostro del convento domenicano di S. Maria di Castello. L'Annunciazione, posta al centro del braccio adiacente la fiancata della chiesa, è corredata da cinque voltine a crociera decorate con medaglioni contenenti Profeti e Sibille e da due lunette che sovrastano gli accessi alla loggia, rispettivamente S.Pietro martire sulla porta che conduce all'antiloggia e da lì alla sacrestia, e S.Domenico che invita al silenzio, sulla porta all'altro capo del braccio, che conduce agli ambienti monastici.

L' Annunciazione è la sola opera attribuibile con certezza al pittore svizzero Jos Amman, nativo della cittadina di Zella, in provincia di Ravensburg, località situata presso il lago di Costanza. É il pittore stesso a fornirci questi dati, da quanto si evince dal finto cartiglio che egli dipinge in primo piano sullo stipite della finestra sulla sinistra, cartiglio che recita le parole “Justis de Alla Magna pinxit 1451 CRDZ”, sciolto dagli studiosi come “Civis Ravensburgensis de Zella”. Calati nell'atmosfera intima e suffusa di un interno domestico troviamo Maria, avvolta in un fulgido manto turchese, e l'Arcangelo Gabriele, anch'egli riccamente abbigliato, che porge alla Vergine l'annuncio della futura maternità: “Ave, gratia plena, Dominus tecum, benedicta tu in mulieribus et benedictus fructus ventris tui” sono le parole dorate che uniscono i volti eburnei dei due protagonisti. La narrazione, in realtà, si spinge oltre; abilmente Giusto ci lascia intravedere il futuro usando come escamottage le aperture prospettiche sull'esterno, rappresentando nella campagna oltre la loggia in fondo alla stanza la Visitazione di Maria a Elisabetta, e sullo sfondo di una rigogliosa natura quasi da paradeisos classico, visibile dalla finestra sulla sinistra del dipinto, la Natività. Dall'alto Dio Padre vigila sull'episodio, avvolto in due cori di angeli, blu e rossi, e con la sua luce irraggia direttamente la Madonna, fecondandola: Annunciazione e Incarnazione risultano dunque contemporanei. La scena si correda poi di minuti e preziosi dettagli, di tipica derivazione fiamminga Osservando con attenzione troviamo un vaso di maiolica decorato a motivi turchesi che contiene un flessuoso giglio bianco, e una collana attorno ad esso poggiata, arricchita da un pietra incastonata, anch'essa non a caso turchese (che pare essere il colore-guida dell'opera), una scatola lasciata distrattamente aperta con ivi deposte le rocchette di filo, un macramè appeso sulla destra, il grande scrittoio in legno finemente decorato che ci permette uno sguardo all'interno sui libri in esso contenuti, un bacile pieno per metà d'acqua in cui si specchia un cardellino, una brocca metallica appesa a un gancio e sopra di essa un ripiano coperto di oggetti tra cui un candelabro con tanto di mozzicone di candela. A questi dettagli meramente descrittivi se ne aggiungo poi altri simbolici, come il finto cartiglio sullo stipite della finestra a sinistra, che ci fornisce i dati su autore e anno di realizzazione – o completamento – dell'opera, il simbolo dei Grimaldi sulla finestra, in onore a chi finanziò l'impresa, la ricca trapunta che funge da copriletto al giaciglio della Vergine e su cui svetta a caratteri dorati il trigramma bernardiano, o cristogramma, (YHS = Jesus hominum salvator), ripreso anche sul soffitto turchese dell'ambiente principale, chiaro riferimento di fedeltà all'Osseravanza di cui i domenicani di S. Maria di Castello facevano parte ( il trigramma in realtà è francescano e bernardiano, ma che il riferimento è trasversale alla separazione degli ordini). Molto interessante risulta essere la costruzione prospettica di cui si avvale Giusto per ambientare la scena. L'idea di base è quella di realizzare una sorta di scatola spaziale,con tanto di punto di fuga ( anche se individuato non geometricamente ma empiricamente, da cui derivano delle evidenti storture che rendono un po' anomali alcuni dettagli, come l'alcova di Maria), in cui inserire i protagonisti dell'episodio sacro. Ma nel momento stesso in cui crea lo spazio contemporaneamente l'autore lo dissolve, poiché sostituisce a spesse pareti ,ovunque possibile, ariose aperture. Sul davanti, permettendoci così di osservare la scena, Giusto colloca una scenografica trifora che sorregge tramite colonnine e pilastrini scanalati un finto parato murario in stile gotico flamboyant ( con tanto di tabernacolini e statue ivi inserite), sulla sinistra con una grande finestra, e sul fondo pone una loggia di derivazione classica. Quest'effetto di sfondamento spaziale risulta come amplificato se si considera il fatto che l'Annunciazione è dipinta di fronte agli archi che sostengono le volte e che aprono lo spazio al chiostro, sicché la fittizia trifora gotica sembra un po' riecheggiare a fare da contraltare alle reali aperture del loggiato. Da notare inoltre le due statuette che sovrastano la trifora, realistiche al massimo nella resa volumetrica che le rende sbalzanti al limite della tridimensionalità. Isaia e Davide, in tutto e per tutto statue gotiche, incorniciati da un elegante tabernacolo con guglie fiorite reggono entrambi un cartiglio in cui si legge una profezia biblica che, secondo la tradizione, annuncerebbe l'Incarnazione di Dio tramite una vergine, rispettivamente Isaia sulla sinistra “Ecce Virgo concipiet e pariet” (Salmo 7, 14) e Davide sulla destra “Audi filia et vide” ( sottinteso “ et inclina aurem tuam et oblivescere populum tuum e domum patris tui” Salmo 44, 11 -12) L'Annunciazione lascia trasparire molto dell'eclettico bagaglio culturale di cui disponeva Giusto quando dipinse l'opera. Si possono così ritrovare elementi del gusto gotico fiammeggiante e internazionale, ad esempio le proporzioni allungate dei due protagonisti, soprattutto la figura affusolata della Vergine,le lunghe mani incrociate sul petto,l'elegante dolcezza e ritrosia dell'atteggiamenti, mischiati ad altri di derivazione classica, come le colonnine delle loggia sul fondo, ed altri ancora invece di matrice locale genovese - i marmi bianchi e neri che fungono da profilo dell'ingresso alla stanza da letto di Maria. Si ritrovano inoltre riferimenti alla cultura figurativa fiamminga e provenzale di recente elaborazione. Sono stati evocati, come possibili modelli di Giusto l'Annunciazione di Aix di Bathèlemy d'Eyck per la trifora gotica che inquadra la scena e il bordo decorato della veste dell'angelo, l'Annunciazione di Gand e la Madonna Rolin di Van Eyck per il loggiato aperto sul fondo, e alcune opere di Petrus Christus per la creazione di uno spazio arioso e luminoso aperto sul fondo e sul laterale, come nell'Annunciazione della Gemaldegalerie di Berlino, nonché il celeberrimo Trittico Lomellini di Van Eyck oggi andato perduto e conservatoci solo nelle descrizioni ma che forse a metà del Quattrocento si trovava ancora a Genova. Tali riferimenti sono evidenti per esempio nel raffinato trattamento dei lumi tipicamente fiammingo. Arricchiscono l'opera elementi di derivazione nordica, ben presenti sia nell'apparato decorativo, come i bordi ornamentali attorno all'affresco, sia a tratti nella realizzazione delle figure, come Dio Padre alla sommità dell'affresco che presenta un trattamento meno flessuoso e, anzi, più tagliente , vicino alle esperienze artistiche del bacino basso renano da cui Giusto proveniva ( si pensi qui all'operato di Konrad Witz). L'impressione generale che si ricava dall'osservazione dell'opera è che l'autore compia un certo sforzo per concentrarvi tutto il suo ricco patrimonio figurativo e allo stesso tempo per adattarsi al gusto tutto italiano per l'affresco, in cui trasla una concezione analitica, descrittiva ed esornata tipica di chi più probabilmente dipingeva miniature, come già ci suggeriva padre Lanzi, ipotesi che ben si accorderebbe anche con la resa quasi smaltata delle figure e il generale decorativismo che permea l'opera. Il risultato è un grande dipinto manifesto di una cultura artistica, quella genovese, che a metà del Quattrocento non era affatto marginale e periferica, ma ricca di vitalità e di complessa articolazione.

Corredano l'Annunciazione cinque volte a crociera a copertura della loggia. Le nervature sono decorate alternativamente a motivi geometrici bianchi e neri e a motivi vegetali – provenienti dall'area tedesca, forse dalla miniatura - che le fanno assomigliare a rami rampicanti da cui germogliano rami secondari che arricchiscono le vele con ramages che fungono da sfondo ai medaglioni. Questi, in numero complessivo di venti, sono distribuiti uno per vela, quindi quattro per ogni volta, e rappresentano soggetti sia biblici, Profeti, che pagani, Sibillle. Completa la decorazione di ciascuna crociera la chiave di volta - circondata da una corona di raggi infuocati - il cui rilievo individua il tema della volta stessa. Entrando nella loggia dall’Antiloggia incontriamo la volta della Vergine, decorata da Sibille ( Persica, Cumana, Tiburtina, Eritrea), la volta dell’Agnus dei, le cui vele contengono Profeti (Giovanni Battista, Isaia, Mosè, Geremia), la volta del Nome di Cristo, così chiamata per la presenza del Cristogramma nella chiave, che sovrasta l’Annuciazione (Malachia, Abacuch, Ezechiele, Baruch), la volta del Cristo Salvatore (Giacobbe, Giobbe, Michea, Osea) e infine la volta dell’Ecce Homo (Daniele, Salomone, Davide, Simeone)

Completano la decorazione due lunette sovrapporta. Sull'accesso che dalla loggia conduce alla biblioteca si trova S.Domenico che invita al silenzio, padre fondatore dell'Ordine dei Frati Predicatori, rappresentato con l'indice accostato alle labbra ( il silenzio era una delle regole dei domenicani ) , una penna in mano, un libro su un leggio ( simboli della dedizione agli studi teologici) e accanto un vaso. Sull'altro ingresso che mette in comunicazione loggia e antiloggia si colloca S.Pietro martire, ossia S.Pietro da Verona, rappresentato con una roncola conficcata nel cranio ( proprio in tal modo fu ucciso nel 1452 mentre si recava a piedi da Como a Milano ). Piuttosto diversi ci appaiono le fatture di questi due dipinti. Pur nella comunanza di uno sfondo austero, atto probabilmente a suggerire l'idea di rigore, povertà, purezza evangelica, S. Pietro risulta inserito in una spazio prospettico più articolato rispetto a quello che fa da sfondo a S. Domenico. Si tratta di una camera dall'alto soffitto coperto da un'unica volta a crociera, con piccole finestre aperte sulla parete di fondo e su quella laterale destra e con una grande porta sulla sinistra da cui si intravede il paesaggio esterno, a confronto invece di una piccola semplice nicchia che alloggia S.Domenico, dalla resa alquanto piatta – effetto forse amplificato dal cattivo stato di conservazione dell'opera - che lascia poco all'idea di profondità spaziale. Anche la raffigurazione dei due santi appare molto diversa, più semplice e saldamente ancorato al suo spazio S.Domenico, snello, maestoso e slanciato S.Pietro inquadrato vagamente dal basso, più solenne e meno morbido nell'espressione del volto a confronto con la mitezza del viso del fondatore dell'Ordine.

Per quanto riguarda la tecnica con cui è stato realizzato l'intero ciclo essa è nordica, di derivazione transalpina. Si tratta di pittura murale stesa largamente a secco, rialzata poi con lacche e pigmenti fatti aderire al muro con leganti organici. Il fatto che si tratti di un dipinto murale è un dato fondamentale perché testimone del gusto italiano che permea un'opera di matrice fiamminga: se Giusto avesse lavorato all' Annunciazione nelle Fiandre, probabilmente sarebbe stata un dipinto su tavola. L'opera risulta oggi molto ben conservata, in quanto protetta dalle intemperie e dalla salsedine marina da una vetrata presente già ai tempi di Raffaele Soprani, in pieno 1500. La cromia è ancora sgargiante ma le vesti risultano molto appiattite e quasi monocrome: questo appare ben visibile nell'abito color bronzo della Vergine, ridotto a un'unica superficie continua senza pieghe e variazioni, e nel mantello dorato dell'Angelo, le cui figure sul bordo appaiono oggi quasi totalmente illeggibili. Anche gli sfondi paesaggistici visibili dalle aperture del loggiato e della finestra hanno perso molto vigore e risultano alquanto slavati. Un discorso analogo si può fare per la decorazione delle volte, in alcuni casi gravemente compromessa ( si noti per esempio lo sfondo dei medaglioni della volta dell'Agnus Dei in cui a tratti la decorazione damascata è pressoché scomparsa) e dei sovrapporta, soprattutto S.Domenico che pur non mostrandosi mancante in nessuna sua parte è generalmente indebolito nella cromia, oggi sicuramente abbassata di tono e appiattita.

Per comprendere a fondo, dal punto di vista sia storico che stilistico, la Loggia dell'Annunciazione, opera complessa, nata dall'incontro e dall'incrocio di sensibilità e modi di fare pittura diversi, è necessario calarla nel quadro artistico-culturale della città di Genova a metà del XV secolo. Corre l'anno 1441 quando i domenicani Osservanti fanno il loro ingresso nella collegiata di Castello; l'evento non resterà senza conseguenze. Nel breve periodo intercorso tra il 1445-1452 si ha la costruzione, finanziata dai fratelli Lionello e Manuele Oliva, del II chiostro adiacente la biblioteca e della biblioteca stessa, e il rinnovamento della sacrestia. I fratelli Oliva, di estrazione mercantile, dopo l'acquisto dell'accesso alla nobiltà genovese con l'iscrizione all'albergo Grimaldi nel 1448, si garantivano in tal modo una straordinaria visibilità nel luogo più nuovo e splendente di Genova, facendo inserire quasi ovunque, anche nell'Annunciazione stessa, lo stemma dei Grimaldi. Ciò che più conta è che tali nuove strutture furono subito interessate da un complesso programma decorativo che comprende la Loggia dell'Annunciazione. La grande mente ideatrice di tale apparato iconografico fu quasi certamente Girolamo Panissari, priore della collegiata dal 1444 al 1452 (con una brave interruzione nell'anno 1447, quando papa Nicolò V ne dispose il trasferimento a S.Marco di Firenze, dove il Panissari ebbe modo di osservare gli affreschi del Beato Angelico, dato da non dimenticare).Si trattava di un grande programma che utilizzava l'immagine per proporre ai monaci temi di meditazione ma soprattutto per orientare tale esercizio spirituale, nonché per suggerire percorsi -da intendersi proprio a livello fisico- negli spazi stessi del convento, sottolineando e commentando le tappe delle giornate dei domenicani. Il tema della decorazione della Loggia è in realtà nel suo complesso il mistero di Cristo : come Dio che si fa Uomo per redimere il mondo. Questo dato ci viene esplicitamente indicato dall'ornato delle volte che percorre in cinque tappe il mistero dell'Incarnazione: volta della Vergine decorata con le Sibille ( = promessa del Redentore dall'inizio dei secoli presentito dal mondo pagano attraverso gli oracoli), volta dell'Agnus Dei ( = profeti della missione sacrificale del figlio di Dio), volta del nome di Cristo ( = profeti dell'Unzione regale del Redentore), volta del Cristo Salvatore ( = profeti dell'Unico Salvatore) e volta dell'Ecce Homo ( = profeti della Passione). Si tratta di un'iconografia colta, suggerita all'osservatore in un modo tutto particolare, in cui all'immagine narrativa si sostituisce il simbolo e la parola, determinando in tal modo la necessità di una fruizione raffinata. In questo programma iconografico assume chiaramente un ruolo centrale la Vergine Maria, che è punto di partenza del ciclo della salvezza umana in quanto mezzo dell'Incarnazione stessa: la scelta del tema dell'annunciazione non è quindi affatto casuale. Non solo si tratta di un soggetto molto amato nella prima metà del Quattrocento, ma costituisce uno dei problemi sui quali fin dal Duecento i Domenicani si erano fortemente battuti. Si trattava di un problema che sorgeva dall'ambiguità di fondo sottesa al concetto stesso di “immacolata concezione”: Maria generata senza peccato originale, o Maria che viene fecondata e genera pur rimanendo Vergine? L'affresco di Giusto ci offre una magistrale interpretazione dell'idea della verginità della Madonna. Non solo tale elemento viene sottolineato a livello iconografico ( per esempio il vaso con i gigli bianchi presente nell'opera), ma anche attraverso l'uso della parola scritta. La statuetta che rappresenta il profeta Isaia, nel tabernacolino in alto a sinistra, regge un cartiglio che recita “Ecce Virgo concepiet e par(iet)”. L'argomento viene ripreso sull'orlo del manto della Vergine con una lunga iscrizione che inizia con le parole “(post partum virgo inviolata per)man(isti) Maria Mater Christi”, secondo la ricostruzione di Poleggi e di Sara Badano. Particolare è la scelta dell'iconografia delle Sibille, che a metà Quattrocento costituiva una novità di derivazione toscana: il tema, ripreso in ambito umanistico attraverso l'edizione delle opere di Lattanzio e gli studi di Marsilio Ficinio, e che aveva conosciuto una certa diffusione, giunse a Genova probabilmente tramite Girolamo Panissari, che come detto nel 1447 soggiornò a Firenze per breve tempo. Correda infine la Loggia, con la decorazione dei due sovrapporta, una sorta di glorificazione dell'Ordine Domenicano, che con il suo messaggio di purezza e di ritorno ad una religiosità povera delle origini, aveva il compito di riproporre alle genti il Cristo evangelico. Grandeggiano quindi sui due ingressi due campioni dell'ordine, S. Domenico che invita al silenzio( che mostra un chiaro riferimento al S.Pietro che ingiunge il silenzio di S.Marco a Firenze dipinto dal Beato Angelico, visto dal Panissari nel suo soggiorno fiorentino del 1447 e qui traslato) e un S. Pietro martire da Verona.

Elemento di fascino è la scelta della mano che realizzò le decorazioni murali. Siamo spinti a domandarci perché Panissari optò per un artista straniero, proveniente dall'area basso-renana, del quale ancora oggi sappiamo poco, a livello biografico e artistico. Artisti stranieri soggiornavano di continuo a Genova, questo anche a causa della particolare geografia delle città, punto di passaggio e di incontro di culture diverse. La presenza di Giusto, in particolare si spiega forse tenendo conto che i finanziatori del complesso erano di estrazione mercantile, e che uno dei nessi principali che lega Genova alla cittadina svizzera di Ravensburg era proprio il legame mercantile che passava attraverso la famiglia degli Humpiss: è plausibile che tale collegamento abbia favorito la decisione di Giusto di venire a Genova, e forse la sua conoscenza del cantiere e la possibilità di entrarvi. Secondo l'ipotesi della Professoressa Romano,Giusto doveva essersi stabilito a Genova da un po' di tempo quando realizzò la sua Annunciazione, e aver trovato una clientela non disprezzabile, mercantile - borghese e poi ecclesiastica, che lo portò ad avere un ruolo centrale nel rinnovo artistico di uno dei massimi Conventi Osservanti dell'Italia del Nord. Un'altra ipotesi che è stata avanzata ( padre Costantino Gilardi) è che la presenza a Genova di un artista svizzero possa essere attribuita al legame diretto instauratosi tra Santa Maria di Castello, alla rifondazione osservante della quale partecipò tra gli altri il domenicano Giovanni da Montenero,e il concilio papale di Basilea ( cittadina che dista poco più di un centinaio di chilometri da Ravensburg) inaugurato il 23 luglio 1431 da papa Eugenio IV, lo stesso pontefice che si adoperò per l'installazione dei domenicani a Castello. Giovanni da Montenero fu infatti incaricato direttamente da Bartolomeo Texier, Generale dell'Ordine dei Domenicani, di rappresentare l'Ordine a Basilea. Durante il suo soggiorno svizzero potrebbe essere venuto in contatto con Giusto stesso o con alcuni dei pittori che con parteciparono alla decorazione del convento genovese.

L'attribuzione dell'opera risulta essere assai complessa. Solo l'Annunciazione è sicuramente opera di Giusto. Più ardua è invece l'attribuzione delle volte e dei due sovrapporta, che ha scatenato il dibattito degli studiosi senza che per ora si sia giunti a una conclusione unanime, tranne sull'ipotesi generalissima, ma che mi pare essere anche la più flessibile e onnicomprensiva, che vede accanto al maestro una cerchia di altri aiuto – pittori dalla personalità artistica più o meno varia. Per quanto riguarda le volte le prime ipotesi, oggi entrambe superate, furono quelle di F.Winkler, che negli anni Sessanta del secolo scorso si occupò di redigere un catalogo, oggi molto discusso e in buona parte respinto, delle opere di Giusto, attribuendogli la realizzazione in contemporanea con l'Annunciazione delle voltine del loggiato,e di R.Longhi, che propose il nome di Bonifacio Bembo, oggi unanimemente respinto. Serana Romano pensa alla possibilità che Giusto, lasciata Genova e l'Italia in tutta fretta per tornare a Ravensburg a occuparsi di affari di famiglia ( l'ultimo documento che ci riporta sue notizie è del 1452 e vede l'artista di nuovo in patria per gestire l'eredità della casa paterna), abbia lasciato la direzione del cantiere a un altro pittore. Costui condivideva con Giusto la cultura e alcuni elementi della sua formazione, ma non dipingeva esattamente nello stesso modo, privilegiando un modo più fuso e sfumato - là dove G. risulta più corposo e smaltato - mentre allo stesso tempo ci mostra nella sua pittura una maggiore attenzione per elementi figurativi nordici, e un totale disinteresse per quelli francesi e fiamminghi, preponderanti invece in Giusto. Questo secondo pittore a sua volta si sarebbe munito di aiuti per completare la loggia, aiuti che a loro volta fusero insieme il modo di dipingere dei due maestri. Il risultato è un panorama ricco e variato: alcune Sibille, soprattutto la Persica, assomigliano molto alla mano di Giusto, altre volte la tecnica è più morbida e sfumata, i corpi cilindrici e le pieghe semplificate, in altri casi la tavolozza perde la ricchezza cromatica tipicamente nordica per avvicinarsi a una pittura monocroma, di tradizione italiana ( si pensi ai monocromi di Vizi e Virtù nella Cappella degli Scrovegni di Padova, Giotto). Anche l'Algeri pensa a un'equipe di Giusto e al massimo a un suo possibile intervento nella volta del Nome di Cristo sopra l'Annunciazione stessa, ma non si sbilancia riguardo la natura di tali aiuti, che potevano ugualmente essere collaboratori non italiani e giunti con Giusto a Genova o maestri già presenti in Liguria e di cui sarebbe difficile ricostruire la formazione. La Collobi Ragghianti accetta l'idea di una generale impostazione da ricondurre a Giusto ma vi affianca per la realizzazione delle volte anche dei collaboratori, da pensarsi scelti fra i tanti pittori che nel XV secolo giungevano a Genova dalla Lombardia, specialmente da Pavia, e nello specifico individua tre personalità distinte. Il primo artista ( volte III, IV e V → Salomone) si contraddistingue per una resa composta e tradizionale nell'ubbidienza al soggetto liturgico, ma originale e variata in pose, acconciature e abbigliamento. Il secondo pittore ( volte I e II → Giovanni Battista, Isaia, Mosè) forse da identificare con Giovanni da Montorfano ci mostra lineamenti dei volti molto caratteristici che esprimono alternativamente sentimenti diversi come autorità, timidezza, dolore, e che contrastano fortemente con l'aspetto modesto e impersonale degli apparati esteriori. La terza mano infine ( volte II → Geremia, e V → Davide, Simeone, Daniele) dipinge figure saldamente impostate con geometrica simmetria. A queste tre personalità distinte si aggiungono ancora aiuti artigiani vari per le parti ornamentali, ripetitive e impersonali, radunati probabilmente sia a Genova che in Svizzera, da cui proverrebbe la decorazione a fogliami e racemi. Maurizia Migliorini considera l'intera decorazione impostata nello stesso arco di tempo ( si veda la fitta decorazione vegetale perfettamente omogenea) ma propone di isolare le volte della Vergine, dell'Agnus Dei e l'ultima, della Passione in quanto vi ravvisa caratteristiche tipologiche affini all'Annunciazione ma al contempo anche sostanziali differenze. Per questo motivo propone due ipotesi in merito: la prima è che anche queste volte siano opera di Giusto ma di un periodo successivo, in quanto dimostrano una resa plastica più sviluppata in profondità e una pennellata più rapida a discapito della perdita della tecnica smaltata e miniaturistica tipica dell'Annunciazione; la seconda ipotesi (vicina all'opinione di Serena Romano) è che Giusto abbia dato una generale impostazione all'opera prima di ripartire per Ravensburg e che poi altri pittori della sua cerchia si siano occupati di terminare l'opera e apportare i dettagli. Le altre due volte invece, quella del nome di Cristo e quella di Cristo Salvatore, sarebbero da ritenere più vicine all'Annunciazione. La Castelfranche Vegas, infine, propone per il complesso delle volte un mélange nordico – lombardo, simile alla cultura di Jaquerio a Ranverso e a quella di Bapteur.

Ugualmente gli studiosi si sono occupati dei due sovrapporta con S.Domenico e S.Pietro. Sinteticamente possiamo dire che Serena Romano ritiene entrambi i dipinti non opera di Giusto ma creati in un momento più avanzato, anche se essi appaiono legati ancora a un imprinting nordico e forse alla figura di Giovanni Mazone. Per la Professoressa Migliorini S.Domenico sarebbe da attribuire a Giusto ( si confrontino a tal proposito i due vasi contenenti fiori presenti in entrambi i dipinti) e S.Pietro a Giovanni Mazone. Per l'Algeri le due opere sarebbero da attribuire all'equipe di Giusto ma sarebbero state realizzate negli anni Settanta del Quattrocento.

[modifica]

Fonti

Raffaele Soprani, Le vite de' pittori, scultori et architetti genovesi e de' forastieri che in Genova operarono con alcuni ritratti degli stessi. Opera postuma dell'illustrissimo signor Raffello Soprani, patrizio genovese. Aggiuntavi la vita dell'Autore per opera di Gio.Nicolo Cavana, Genova, 1574, pag. 369 “Alla mano di Giusto d'Alemagna riconosciamo la più antica pittura sul fresco condotta, che in Genova si conservi.( .. ) So bene che nel 1451 vi si trovava ( .. ) ch'egli in tal anno formò sopra una parete situata nel chiostro superiore del Convento di S. Maria di Castello; nella qual pittura sta espressa la Vergine Annunziata dall'Angiolo Gabriello ( .. ) Scorgesi è vero in esso lo stile gotico ( .. ) Che poi ella sia fattura di Giusto, chiaro cel'indicano le parole da lui medesimo appostevi, le quali dicono. Justus del Alemania pinxit. 1451”

Carlo Giuseppe Ratti, Istruzione di quanto può vedersi di più bello in Genova in pittura, scultura, ed architettura ecc, Genova, 1766, pag. 84 “ è dipinta a fresco nel muro l'Annunciazione della Vergine con diligenza, e freschezza sorprendevole da Giusto d'Alemagna”

Luigi Lanzi Storia pittorica dell'Italia dal Risorgimento delle Belle Arti in fin presso al fine del XVIII secolo, V , Bassano, 1809, pag .285 “pittura preziosa in suo genere, finita in uso di miniatura e che promette alla Germania lo stile di Alberto Durero”

Federico Alizieri, Guida artistica per la città di Genova, I, Genova, 1846, pp. 376-379 “È un affresco col mistero dell'annunciazione, dipintovi nell'epoca in cui furono compiuti i chiostri ( .. ) Vi si scerne la durezza propria de' tempi, specialmente nelle estremità, e nella esecuzione uno stento che quasi impedisce al pittore di dar forza al concetto ( .. ) Ma compensa que'difetti a cui la sua età il condannava, con una precisione, con una finezza di pennello che ferma e diletta ( .. ) un'acutezza d'imitazione da far invidia a' moderni ( .. ) In questo tratto di chiostro rimangon pitture sul volto, anch'esse di mano tedesca ( .. ) V'han mezze figure di profeti e sibille disposte quasi in una intrecciatura di piante che tutto riempie lo spazio del volto. Sembra lavoro posteriore ( .. ) Nondimeno mi si potrebbe opporre che alcune di queste figure mostrano altro stile, simile in molte parti a quello di Giusto ( .. ) Non veggo altro mezzo di sciorre il dubbio, che il giudicar ridipinte o rifatte quelle che senton d'un gusto più moderno”

Padre Raimondo Amedeo Vigna, L'antica collegiata di Santa Maria di Castello in Genova, Genova, 1859, pp. 235-238 “ Il volto della stessa galleria diviso in cinque scomparti o sezioni è anch'esso tutto coperto di fregi e di pitture rappresentanti i profeti maggiori e minori dell'antica alleanza, nei quali al giudizio del citato Rosini l'incognito autore volle ritrarre le imagini dei principali personaggi della morente collegiata di Castello ( .. ) In uno dei primi è dipinto S. Pietro martire in quasi intiera figura, opera assai bella che può aggiudicarsi al principio del XVI o al termine del XIV secolo, e certo differenzia assai in colorito e più franco maneggio di pennello dalle opere tedesche anzi ricordate. [..]. Il quale (Giusto) certamente poi colorì l'immagine di s. Domenico che vedesi sul nuvo ingresso del convento, a lato a lato della scala che dal chiostro conduce alla chiesa, osservandosi in essa il medesimo spartito di pieghe con gli accessori di scatolette e simili che già notammo nell'Annunciazione”

Federico Alizieri, Notizie dei professori del disegno in Liguria dalle origini al secolo XVI, I, Genova, 1870, pp. 407-413 “ Il 1451, che dal marzo al settembre comprende tre rogiti, risponde (come ognun vede) alla data del suo dipinto,e però non mi invita a disdire il soggiorno brevissimo ch'io supposi per Giusto e in Liguria ed in Genova. Ho sospetto di lui quel che d'altri fiamminghi e tedeschi: un correre di terra i terra a discrezione di fortuna, e con certa bramosia di lucrare”

[modifica]

Bibliografia

G.ALGERI ,A.DE FLORIANI, La pittura in Liguria. Il Quattrocento, Genova 1992, Gruppo Carige – Cassa di Risparmio di Genova e Imperia, pp. 170-182

G.V.CASTELNOVI, Il Quattrocento e il Primo Cinquecento, in La pittura a Genova e in Liguria, I, Genova 1970, Sagep Editrice, pp.82-84

L.COLLOBI RAGGHIANTI, I collaboratori di Giusto, in Critica d'arte, Modena anno LII, quarta serie, n.12, gennaio/marzo 1987,, pp. 45-46

L.COLLOBI RAGGHIANTI, Per Santa Maria di Castello, in Critica d'arte, Modena anno LI, quarta serie, n.10, luglio/settembre 1986, pp. 50-61

P.C.GILARDI, Le programme decoratif d'un couvent de l'Observance dominicaine de Lombradie. S. Maria di Castello à Gênes, 1442-1526, in Les Dominicains et l'image. De la Provence à Gênes, XIIIe – XVIIIe siècles, actes du colloque ( Nice, 12 -14 mars 2004), èd. Guy Bedouelle, Antoine Lion, Luc Thévenon ( Mémoire dominicaine, VIII) Nice 2006, pp. 83-103

P.C.GILARDI, Un crocifisso e un polittico della bottega dei Brea per il pontile di S.Maria di Castello, in L'arte dei Brea tra Francia e Italia. Conservazione e valorizzazione, Genova. S. Maria di Castello ( Genova, 31 ottobre 2005) , atti del convegno a cura di M.T. Orego, pp. 51-74

M.MIGLIORINI, Appunti sugli affreschi del Convento di S.Maria di Castello a Genova, in A.A. 1971-1979 Argomenti di Storia dell'Arte. Quaderni di perfezionamento in archeologia e storia dell'arte della facoltà di lettere e filosofia dell'Università di Genova, 1980, pp. 49-63

E. POLEGGI, Santa Maria di Castello e il romanico a Genova, Genova, 1973, pp. 172-183

S. ROMANO, Giusto di Ravensburg e i pittori svizzero-tedeschi a S. Maria di Castello in Genova e l’Europa continentale. Opere, artisti, committenti, collezionisti. Austria, Germania, Svizzera, a cura di P. Boccardo e C. Di Fabio, Silvana Editoriale, Milano 2004, pp. 33-47.

S.ROMANO, Il cantiere di Santa Maria di Castello a Genova: tragitti nordici, di qua e di là dalle Alpi, in Entre l'Empire e la mer. Traditions locales et échanges artistiques dans la région alpine (Moyen Age -Renaissance), 3e Cycle Romand des Lettres (Lausanne-Genève, 22/23 mars-19/20 avril, 24/25 mai 2002), actes du colloque, a cura di M. Natale e S. Romano, Roma 2007, pp. 177-197

L.C. VEGAS, Italia e Fiandre nella pittura del Quattrocento, Milano, 1983, pagg. 234-235

Immagini

Immagine:AnnunciazioneRavensburg.jpg

Immagine:affreschiloggia.jpg

Ultimo aggiornamento 26 Ottobre 2022